Dirigere per comunicare al cuore: il Maestro Claudio Di Meo si racconta dopo il concerto a Gualdo Tadino
- Riccardo Pes

- 1 giorno fa
- Tempo di lettura: 5 min
INTERVISTA di GIULIA FRESCHI

Come è nata l’idea di questo concerto a Gualdo Tadino?
In realtà Riccardo mi ha sempre parlato dell’orchestra Blanc con molto entusiasmo e da tempo mi diceva: “Guarda, ungiorno verrai a dirigerci qui a Gualdo”. L’anno scorso abbiamo fatto insieme un concerto con un’orchestra inglese, vicino a Pordenone, a Sacile, e in quell’occasione Riccardo mi ha chiesto se potevo prendere parte a questo festival a Gualdo Tadino, dove lui si stava trasferendo, e che gli sarebbe piaciuto se avessi potuto dirigere l’orchestra. L’idea è nata molto casualmente, in modo amichevole, grazie alla stima e all’affetto reciproco che c’è tra me e Riccardo.
Ottimo. Un’altra domanda riguarda la tua duplice formazione.
Come si integrano direzione d’orchestra e composizione nella tua visione della musica?
L’errore più grande che può commettere un direttore d’orchestra è studiare un brano o una sinfonia ascoltando un CD. Lostudio della partitura è fondamentale, e lo si impara davvero quando si studia composizione, anche perché esiste una materia specifica che è la lettura della partitura. Come i violinisti, i pianisti o i flautisti studiano la propria parte prima di andare in prova, il direttore deve studiare la partitura. È fondamentale: devi capire cosa succede.
In realtà ci sono diversi modi per studiare una partitura. C’è lo studio architettonico: ad esempio, se il primo movimento di una sinfonia è in forma sonata, il direttore deve capire dov’è il primo tema, lo sviluppo, il secondo tema, la ripresa, la coda. Tutto questo lo puoi comprendere se hai studiato composizione, o comunque se hai fatto studi personali che ti permettono di analizzare e comprendere una partitura. Altrimenti diventa solo un susseguirsi di battute piene di note: sai che arriva un crescendo o un diminuendo perché l’hai già sentito in qualche registrazione e lo replichi. Ma in quel casonon hai un’interpretazione personale: non c’è nulla di tuo, hai solo imparato ciò che ha fatto un altro.
L’ascolto, poi, è fondamentale. Oggi abbiamo YouTube, Spotify: ascoltare diverse versioni è meraviglioso e importanteper un direttore, anche per capire cosa non si vuole fare. Ma quando devo studiare un nuovo brano, non lo ascolto mai prima. Ad esempio, se devo studiare la terza Sinfonia di Brahms, anche se è un pezzo che ho ascoltato mille volte, nelmomento in cui mi ci metto da direttore, evito di ascoltarla. Voglio affrontarla con un orecchio fresco, senza una registrazione preconcetta. Una volta studiata, allora sì, ascolto le varie interpretazioni. Per un musicista l’ascolto è fondamentale.
C’è poi lo studio armonico: capire dove va l’armonia, cosa succede, se c’è un momento di tensione, uno sforzando, un crescendo importante, un cambio di tonalità. Il direttore deve comprenderlo perché solo così può enfatizzarlo. Se c’è uno sforzando o un doppio sforzando, devi capire se l’accordo è, ad esempio, una settima diminuita, perché magari il compositore voleva esprimere dolore. Il direttore deve andare oltre le note e cercare, attraverso la conoscenza della storia e della vita del compositore, cosa stava succedendo in quel periodo, politicamente e socialmente. Se si studia Šostakovič, una sua sinfonia è un trattato di storia: c’è tutto, la guerra, la sofferenza, i bombardamenti.
Se è vero che la musica è comunicazione, il direttore deve essere in grado di comunicare qualcosa, e la comunicazione avviene attraverso lo studio. Non so se ho risposto alla tua domanda.
Sì, e hai addirittura anticipato una domanda su cui torneremo in seguito. Un’altra domanda riguarda Riccardo: puoi raccontarci come è avvenuto il vostro primo incontro?
Il nostro primo incontro è avvenuto a Londra. Era un periodo in cui lui studiava al Royal College of Music, o forse aveva appena finito. Frequentava molto la biblioteca, e la mia compagna di allora lavorava proprio nella biblioteca del Royal College of Music, perché anche lei era musicologa. A casa mi disse di aver conosciuto un musicista italiano e che dovevo assolutamente incontrarlo perché era un tipo fenomenale. È stata lei a mettermi in contatto con Riccardo. Così è avvenuto il nostro primo incontro. Sicuramente Riccardo lascia il segno.
Un’altra domanda riguarda l’orchestra d’archi Blanc. Ti era già capitato di dirigere un’orchestra stabile formata solo da archi?
Mi è capitato di dirigere orchestre stabili, ma non esclusivamente d’archi. Quando Riccardo mi chiamò per dirigere questo concerto, gli dissi: “Ma sei sicuro che vi serva un direttore?”. Perché spesso questi piccoli ensemble non ne hannobisogno. La figura del direttore è nata per un’esigenza precisa: quando le orchestre hanno iniziato ad aumentare di numero, gli ottoni che stavano a quindici metri dai violini non riuscivano a stare insieme, e serviva qualcuno che li tenesseuniti. Poi la musica e l’interpretazione si sono evolute, e così la figura del direttore.
Quando Riccardo mi ha detto che erano tredici musicisti, gli ho risposto: “Ma a che vi serve un direttore?”. Quindi ero unpo’ impreparato da questo punto di vista e mi chiedevo come avrei potuto gestire la prova. Io dirigo tre orchestre sinfoniche in Inghilterra, dai 63 agli 85 elementi.
Un’orchestra di 13 non l’avevo mai diretta. Da buon romano, dentro di me pensavo: “Ma che gli dico per cinque ore?”. E invece si è aperto un mondo, perché cinque ore quasi non sono bastate.
Il lavoro sinfonico è un altro tipo di lavoro: tutti i dettagli che abbiamo curato insieme, in un’orchestra sinfonicaavvengono nelle prove di sezione, che io non dirigo. Le prove di sezione vengono fatte dal primo violino per gli archi o per esempio dal primo corno per gli ottoni.
L’esperienza con la Blanc mi ha permesso di scoprire un mondo meraviglioso fatto di dettagli che solitamente avvengono dietro le quinte. Nelle orchestre sinfoniche io parlo solo con il primo violino: è lui che si occupa delle arcate e ledistribuisce durante la prova di sezione. Con la Blanc, invece, ho potuto vedere tutto questo “dietro le quinte”, ed è stato bellissimo.
Il concerto ha registrato ben cinque standing ovation: c’è stata quindi una forte connessione tra palco e pubblico. La capacità di comunicare è davvero la missione principale di un musicista oggi?
La capacità di comunicare e di emozionare è importantissima. Dobbiamo sempre metterci nei panni dell’ascoltatore. Quando pago un biglietto per andare a teatro voglio emozionarmi e voglio uscire arricchito: interiormente, nello spirito, oppure cognitivamente, perché ho imparato qualcosa di nuovo. Come musicisti abbiamo la responsabilità di comunicare ed emozionare. Abbiamo in mano un’arma potentissima, una bomba atomica: la musica. E dobbiamo farne buon uso.
Un’ultima domanda. Ci sono idee per collaborare di nuovo nei prossimi mesi?
Il giorno dopo il concerto, ero in aeroporto e ho mandato un messaggino a Riccardo per condividere alcune riflessioni sulconcerto. Riccardo mi ha chiamato e abbiamo fatto una lunga chiacchierata, di un paio d’ore. In quella conversazione mi ha detto che gli piacerebbe che tornassi a lavorare con voi. Io ho risposto: “Con grandissimo piacere”. Primo, per l’affetto e la stima che ho per Riccardo; secondo, per l’affetto e la stima che ho per l’orchestra.
È stato bello: un clima rilassato, mi sono davvero divertito. È vero che il primo giorno quelle cinque ore ci hanno stremato, perché venivamo tutti da un viaggio, abbiamo finito tardi, eravamo stanchi. Era la prima volta che ci incontravamo, quindi c’era un po’ di imbarazzo musicale, che però si è sciolto subito. C’è stata una chimica bellissima, e non è una cosa semplice né automatica. E non è merito mio o vostro: è chimica.
Quando prima hai citato le cinque standing ovation, quella è stata una grande vittoria. Ma sai qual è stata la vera vittoria? Non le standing ovation in sé, ma la connessione, il triangolo tra direttore, musicisti e pubblico. Non è facile da creare e non accade sempre. Ma quando accade, e nel nostro caso è accaduto, è una bomba atomica. C’erano persone con lelacrime agli occhi. Chi lo sa cosa ha mosso, dentro ognuno di loro, ciò che abbiamo fatto? Una lacrima, un sorriso… Non importa cosa. Lo abbiamo mosso. E quella è una grande vittoria.
Quindi, se la domanda è: “Torneresti a lavorare con la Blanc?”, la risposta è: “Assolutamente sì”.
Allora ti aspettiamo.




Commenti